Responsabilità civile d’impresa: la nuova sfida per le aziende ai tempi del Covid-19

A fronte della pandemia Covid-19, il mondo dell’impresa si trova ad affrontare una sfida significativa che investe, in primo luogo, il ruolo finora ricoperto in ambito economico e sociale. Mi riferisco all’epocale passaggio dal concetto di responsabilità sociale dell’impresa a quello di responsabilità civile della stessa; un salto di grande rilevanza che ha colto impreparato non solo il nostro Paese ma anche l’intero Occidente, salvo poche eccezioni.
La responsabilità sociale d’impresa è sempre stata declinata in negativo; ad oggi, all’azienda è stato richiesto di non fare: non generare inquinamento, non compiere azioni che non siano in linea con i codici vigenti, non assumere comportamenti inadeguati nei confronti dei propri dipendenti. La responsabilità civile, al contrario, offre un’accezione positiva. In sinergia con altri soggetti, l’impresa è chiamata a fornire il proprio contributo in ambito pubblico ma anche, e soprattutto, in quello della società civile organizzata, quali gli enti del terzo settore o non-profit. È l’impresa stessa a contribuire in maniera fattiva all’incremento del tasso di civilizzazione del proprio contesto di riferimento: un paese o una cittadina nel caso di un’impresa di piccole dimensioni ma anche l’intero Paese nel caso di una grande azienda.
Il contesto di grave emergenza che tutti noi stiamo vivendo ha contribuito ad accelerare in maniera incisiva tale processo, ponendo in risalto la completa esclusione del mondo dell’impresa nei momenti decisionali. Entrati oggi nella Fase due, caratterizzata da forti polemiche e non poche criticità, appare evidente che se si fosse seguita la logica della società civile lo scenario sarebbe stato diverso. Non dobbiamo dimenticare che già dallo scorso settembre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso la pubblicazione di uno specifico report, mise in guardia tutti i Paesi ad essa aderenti sulla minaccia di una possibile pandemia invitandoli ad adottare in anticipo provvedimenti a riguardo. Da allora fino allo scoppio della pandemia in Italia nulla è stato fatto.
Inermi ci siamo trovati a dover importare mascherine dall’estero attendendone l’arrivo; al contrario, se il modello vigente fosse stato quello della responsabilità civile avremmo assistito ad una cooperazione fattiva da parte delle imprese volta a provvedere a questa e ad altre mancanze con margini di intervento ancora possibili.
Prendersi cura della civitas  – che, come ci ricorda Cicerone è la “città delle anime” – è alla base dell’idea della responsabilità civile. Negli ultimi decenni il modello dominante è stato quello dell’urbs – “città delle pietre”- di cui, ad oggi, scontiamo i disastri. Aver cura della civitas significa aver a cuore la Cultura che, nella bellezza, trova il proprio valore fondante ed è capace di incrementare il capitale sociale. Questo il modus operandi di un’impresa che sposa l’idea di società civile: un’azienda in grado di attivare proficue sinergie e divenire agente di trasformazione degli assetti esistenti al fine di accrescere il tasso di civilizzazione di un territorio o di una nazione, abbandonando l’obsoleta veste del mero profitto.
In tale contesto un’associazione come Civita assume oggi nuovo valore, divenendo per le imprese che intendono raccogliere questa sfida un punto di riferimento imprescindibile a cui affidare il compito di muovere passi verso la direzione indicata: l’incremento della civilizzazione del Paese.
Uscire dalla pandemia non significa far ritorno al business as usual bensì promuovere un modello alternativo di crescita, quale la resilienza trasformativa.
Le aziende oggi  sono agenti di trasformazione; una veste inedita che conferisce loro soddisfazione investendole, al contempo, di nuova responsabilità.

Stefano Zamagni, Presidente Pontificia Accademia delle Scienze Sociali

Il testo è tratto da un’intervista rilasciata per noi dal Prof. Stefano Zamagni