Comunicare il patrimonio culturale, tra intermediazione e nuove tecnologie

di Nicola Maccanico, Vice Presidente Vicario Associazione Civita

 

Affrontare il tema della comunicazione digitale, web, virtualità e nuove tecnologie a così grande distanza dalla rivoluzione di internet e in pieno dominio del 3.0 sembra quasi anacronistico. Eppure il mondo della Cultura, in particolare quello legato alle istituzioni museali italiane, sembra essersi accorto con notevole ritardo delle ingenti possibilità della rete e delle modalità con cui il digitale può stimolarne l’attrattività e diffonderne la conoscenza. Nonostante i nostri musei stiano cambiando aspetto – passando da semplici espositori a luoghi interattivi, sovvertendo l’ormai obsoleto principio del vietato toccare, vietato fotografare – e, con essi, anche i loro fruitori, permane ancora qualche timore da parte dei direttori nei confronti dei media digitali, in particolare rispetto ad un consumo esclusivamente virtuale da parte del pubblico a scapito della fruizione reale. E se c’è chi da noi resta ancorato al passato, recenti indagini sull’audience museale realizzate oltreoceano parlano chiaro; il “National Center for Arts Research” ha stimato che gli investimenti effettuati sul digitale, in termini strategici e applicativi, hanno raddoppiato nell’ultimo anno le interazioni fra istituzioni culturali, pubblico, artisti, donatori e volontari.
È dunque assodato che tali strumenti contribuiscono, da un lato, a rafforzare la reputazione online dell’organizzazione culturale e, dall’altro, stimolano nel potenziale visitatore il desiderio di “esplorare” di persona il prodotto culturale o artistico approcciato in forma virtuale attraverso la rete. Il messaggio è ormai univoco: non sussiste il timore di un calo delle visite se, di contro, la comunicazione online promuove un equilibrio tra informazione e coinvolgimento del pubblico che diviene, così, parte attiva. Se i primi ad assumere tale consapevolezza sono stati i musei statunitensi – earlyadopters dei media digitali – ormai anche le istituzioni culturali più tradizionaliste del nostro Paese si stanno adeguando alla globale apertura verso una comunicazione digitale multidirezionale e multicanale, investendo per attrezzarsi in modo da cavalcare l’onda “social” piuttosto che rischiare di esserne travolti. L’Associazione Civita, con il consueto approccio propositivo e la ferma volontà di analizzare i cambiamenti che investono il settore dei beni culturali, approfondisce ormai da anni il rapporto fra evoluzione tecnologica e mondo della Cultura; in particolare, nel suo ultimo Rapporto, il decimo, “#SOCIALMUSEUM. Social media e cultura fra post e tweet” viene preso in esame il rapporto fra istituzioni culturali e social media, indagando in che modo e con quali fini le prime utilizzano i nuovi strumenti offerti dal mondo digitale. Nonostante la “riforma Franceschini” abbia richiesto ai direttori di musei italiani e sistemi museali territoriali divenuti autonomi un arricchimento, in misura sempre maggiore, dei fruitori reali o virtuali e, di conseguenza, mirate attività di marketing, la nostra indagine evidenzia che l’utilizzo dei social come mezzo per entrare in relazione con i propri pubblici o per attrarre visitatori non costituisce per i nostri musei – ad eccezione di quelli d’arte contemporanea – un obiettivo strategico o rilevante. I limiti, non nascondiamolo, sono evidenti: dall’impreparazione del personale addetto alla comunicazione museale nell’utilizzo di un linguaggio inclusivo e adeguato a questi strumenti all’insufficiente disponibilità di risorse umane specializzate nonché finanziarie nell’organico dei musei, fino ad una parziale visione delle effettive potenzialità dei social media, limitandone l’impiego alle funzioni più banali di comunicazione informativa one-way e trascurandone le preziose opportunità di scambio comunicativo bidirezionale.
Sono questi i fronti su cui Civita ha ritenuto opportuno soffermare la propria attenzione lanciando, con questo Rapporto, alcune proposte per rispondere alla duplice sfida con cui sono chiamati a misurarsi i nostri musei: recuperare il tempo perduto e trasformarsi in protagonisti del tessuto economico e sociale delle città, conferendo loro ancora più forza per generare inclusione, coinvolgimento e partecipazione attiva. Al fine di dare l’avvio a tali processi, risulta quanto mai prioritario, in termini di politiche museali, promuovere le politiche museali che abbiano quale priorità il rafforzamento delle relazioni con i fruitori e l’attrazione di nuovi pubblici, in linea con  una nuova visione del museo, dando vita a quello che è stato definito il “museo relazionale” o, nel contesto statunitense, the participatory museum, enfatizzandone l’aspetto dinamico e interattivo. A livello strategico, le istituzioni museali devono accrescere il proprio ruolo identitario e valoriale, a garanzia della qualità della cultura trasmessa e a favore di una redistribuzione dell’accesso alla conoscenza, valutando pregi e difetti rispetto ai propri obiettivi e, al contempo, devono essere messe in grado di dare l’avvio ad una progettualità innovativa, volta da ottimizzare le funzioni delle piattaforme social in linea con le esigenze del museo stesso ma anche, e di comune accordo, con quelle di centri di ricerca e imprese innovative del settore. Infine, ma non meno importante, occorre prevedere opportuni investimenti riguardo alle professionalità addette alla comunicazione museale affinché acquisiscano un’adeguata preparazione tanto sulle caratteristiche delle diverse piattaforme – in modo da effettuare scelte coerenti con gli obiettivi che l’organizzazione si pone – quanto sui linguaggi “semplici e informali” da adottare nell’uso di tali canali.
D’altra parte è ormai chiaro a tutti che l’attività social è indispensabile per le nostre istituzioni museali; non solo per coinvolgere i visitatori abituali ma anche per attirare nuovi pubblici stimolando la curiosità di questi ultimi ed individuando sempre nuovi spunti da sottoporre all’utente purché siano di qualità. Ed è questo l’ultimo fronte “caldo” che mi preme affrontare. Senza essere frenati da una concezione elitaria della cultura e consapevoli che, proprio grazie alla rete e ai social, subiamo costantemente la cacofonia di un flusso continuo e massiccio di input, rischiando di esserne spesso travolti, c’è più che mai bisogno di mediatori culturali autorevoli, preparati, capaci di organizzare una gerarchia dei contenuti nonché di provare ad interpretarne il senso. Se ieri occorreva intermediazione perché saperi e conoscenza erano propri di un élite culturale ben definita, ad oggi, per selezionare ed organizzare i dati ne abbiamo ancora più bisogno poiché, seppure l’accesso sia ormai più democratico, si avverte più che mai la necessità di avvalersi di competenze maggiori o semplicemente diverse da quelle che possediamo. L’interazione fra nuove tecnologie e comunicazione del patrimonio culturale è, dunque, destinata a farsi ancora più stringente e che potremmo considerarla anche vincente solo se, da tale relazione, saremo in grado di far emergere soluzioni capaci di soddisfare – in modo semplice e accessibile – i bisogni emergenti di conoscenza, approfondimento e coinvolgimento richiesti dal pubblico che, ad oggi, è pronto per divenire parte attiva. Espandere la fruizione delle ricchezze culturali portandole sul mondo digitale è, d’altra parte, un modo per parlare a tutti senza limiti geografici, linguistici e culturali, stimolando, in particolare, la curiosità anche di un pubblico giovane per il quale, in un era di “produttori autonomi di contenuti”, il mondo della Cultura può rappresentare di per sé un contesto in cui non cristallizzarsi nel semplice ruolo di destinatari passivi ma divenirne i promotori più efficaci.