La resilienza della Cultura per il progresso e la pace

Intervista a Webber Ndoro, Direttore Generale ICCROM

La Costituzione dell’UNESCO afferma che “poiché la guerra inizia nella mente degli uomini e delle donne, è nella mente degli uomini e delle donne che deve essere costruita la difesa della pace”. Molto è stato fatto negli ultimi anni, ma molto resta. Quali sono, secondo lei, le sfide principali per lo sviluppo di una cultura di pace duratura?

In effetti, il Preambolo dell’UNESCO alla sua Costituzione è ancora valido. La guerra inizia sempre nella mente dell’umanità e la pace dovrebbe essere costruita anche nelle loro menti. Penso che sia importante realizzare, come esseri umani, che le guerre sono create per interesse. Le guerre hanno costantemente accompagnato la storia degli esseri umani a scopo di espansione, sottomissione e anche di liberazione. Le guerre hanno comunque un aspetto comune: provocano sempre distruzione e l’eliminazione dell’altro e della sua cultura.
La pace porta sempre al progresso e per questo gli esseri umani dovrebbero averne particolare cura. Ma spesso, lo dimenticano e cadono in quella trappola pensando di poter risolvere i problemi con la guerra, e credo che sia un errore fondamentale degli esseri umani.

I conflitti prendono sempre più di mira il patrimonio culturale e, quindi, l’identità delle comunità. In che modo il patrimonio culturale può essere uno strumento di pace e come coinvolgere le comunità per garantire un futuro di pace?

La Cultura e il patrimonio culturale legati alla nostra identità sono componenti fondamentali della pace. Nei conflitti più recenti il patrimonio culturale è stato danneggiato allo scopo di sconfiggere l’altro e distruggere la sua identità e poterlo assoggettare. Ma, come la storia dimostra, non si può sopprimere completamente una civiltà: si può forse avere l’illusione temporanea di esserci riusciti, ma la stessa civiltà tornerà finché avrà la sua memoria.
Permettetemi un esempio a me vicino. In Sud Africa, l’identità africana sembrava distrutta: ma è stata solo questione di tempo, perché il patrimonio culturale non è stato distrutto, è sempre stato lì e la Cultura alla fine ha prevalso. È per questo che il patrimonio culturale è sempre più un bersaglio di distruzione. Ma il patrimonio culturale è molto più complesso: comprende tutte le espressioni culturali tangibili e intangibili e naturali. È un aspetto che condividiamo, credo: si tratta di identità, ma anche di resilienza. È possibile distruggerlo per qualche tempo, anche secoli, ma tornerà comunque, ha resilienza. Ancora una volta, è il nostro pensiero miope a farci credere che possiamo distruggere qualcuno distruggendo il suo patrimonio culturale.

Quindi pensa che ci sia un modo in cui possiamo sfruttare questa cultura in modo significativo per questa pace resiliente?

Penso. In un certo senso sì, la cultura può darci pace, ma come abbiamo detto, la cultura riguarda l’identità. È sempre più importante accettare le differenze culturali e imparare la tolleranza per creare pace e progredire. Come ho già detto, la maggior parte dei progressi sono stati compiuti in tempi di pace, non in tempi di guerra. E ancora, in tempo di pace c’è tolleranza, che ci rende in grado di cooperare e progredire.
Questo può permettere di fare più attenzione ai problemi sostanziali dell’umanità come quelli legati al cambiamento climatico. Oggi questo è il vero problema e una guerra non lo risolverà. Molto più utile sviluppare una cooperazione culturale che ci permetta di capire come le nostre culture possano unirsi per preservare il nostro pianeta fare progressi che non ci distruggeranno. Alla fine la Cultura è alla base di tutto.

La cultura è stata tutelata da diverse convenzioni che risalgono alla questione dei conflitti armati. La Convenzione dell’Aia e i suoi protocolli, l’istituzione dello Scudo blu internazionale o dei caschi blu culturali. E anche il riconoscimento della distruzione del patrimonio culturale come crimine di guerra. Siamo convinti che sarà fondamentale sviluppare un’autentica cultura di pace. quali sono le azioni necessarie e qual è il ruolo dei giovani a tal fine?

Penso che i giovani siano essenziali per questo. La Convenzione dell’Aia del 1954 riferisce alle guerre cosiddette convenzionali. La maggior parte dei conflitti in questo secolo riguardano diversi gruppi etnici e diverse identità culturali all’interno dello stesso paese. Paradossalmente le convenzioni funzionano durante i periodi di pace: chi fa la guerra non pensa alle convenzioni. Le convenzioni rassicurano ma abbiamo bisogno di molto di più per impedire di distruggere il nostro patrimonio culturale, distruggere l’umanità e distruggere il futuro.
Penso che sia essenziale per noi riconoscere che se non impariamo a rispettare le reciproche culture, non importa quante convenzioni facciamo, molti non le rispetteranno. Oggi i paesi in lotta sono molto consapevoli della Convenzione, ma distruggono comunque i beni culturali perché sono consapevoli del dolore che questo provoca ma è una vittoria temporanea: la cultura prevale sempre, è resiliente. Un’ “arma” che ritengo potente è assicurarsi che le persone proteggano il loro patrimonio culturale e ne comprendano l’importanza.

Qual è la sua speranza per le generazioni future a questo proposito, soprattutto per quanto riguarda il patrimonio culturale come strumento di pace e progresso?

Penso che la tolleranza reciproca e la comprensione dell’importanza del patrimonio culturale assicurerà un futuro pacifico che rispetti il patrimonio culturale di ciascuno.