Protocollo Pre-Texts: gli effetti di pratiche artistiche collettive su salute mentale e benessere dei giovani

Intervista a Pier Luigi Sacco, Professore ordinario di Economia Biocomportamentale, Università di Chieti-Pescara

In che modo la pratica artistica collettiva può diventare una forma di cura e prevenzione del disagio giovanile? 

Il lavoro del nostro gruppo di ricerca internazionale sul protocollo Pre-Texts dimostra che la pratica artistica collettiva non è solo un’attività ricreativa, ma produce effetti biologici misurabili che incidono sulla salute mentale e sul benessere dei giovani. Studiando popolazioni diverse – dall’Italia al Kenya, dal Cile al Senegal, abbiamo documentato cambiamenti significativi sia a livello psicologico che nei profili metabolomici dei partecipanti, evidenziando come l’esperienza estetica condivisa modifichi i substrati neurobiologici dello stress e dell’isolamento sociale.

Pre-Texts funziona attraverso una struttura apparentemente semplice ma teoricamente sofisticata: partendo da un testo condiviso, i partecipanti creano interpretazioni artistiche collettive senza gerarchia tra forme espressive. Questa non-direttività attiva uno stato attitudinale diverso da quello della “settimana” produttiva: si crea un tempo festivo dove l’incertezza diventa risorsa anziché minaccia. Il protocollo crea così un ambiente dove i giovani possono mettere in discussione credenze e convinzioni su di sé e sul mondo attraverso la sorpresa estetica e non attraverso i meccanismi prescrittivi della didattica formalizzata.

La dimensione collettiva è cruciale: il disagio giovanile contemporaneo nasce spesso da un’iper-individualizzazione competitiva. Pre-Texts crea comunità temporanee di produzione di senso dove il valore emerge dalla co-creazione, non dalla performatività individuale. I nostri dati mostrano riduzioni significative dei biomarcatori di stress e miglioramenti nella regolazione emozionale, confermando che l’esperienza culturale condivisa configura una vera e propria forma di esposoma ad oggi non considerata dalle nostre strategie di medicina ambientale.

 

Come può la politica culturale italiana integrare in modo strutturale il “cultural welfare” nei percorsi di formazione e lavoro per i giovani?

Per integrare strutturalmente il welfare culturale nei percorsi formativi e lavorativi italiani servono tre interventi sistemici.

In primo luogo, riconoscere la cultura come determinante di salute nei documenti programmatici. Le evidenze scientifiche accumulatesi nell’ultimo decennio dimostrano che l’esposizione culturale produce effetti biologici comparabili a quelli di interventi farmacologici su stress, ansia e depressione. Il Piano Nazionale di Prevenzione dovrebbe includere esplicitamente la partecipazione culturale attiva tra i fattori protettivi per la salute mentale giovanile.

Inoltre, bisogna creare infrastrutture di welfare culturale territoriale attraverso la rete dei luoghi della cultura esistenti. Biblioteche, teatri, musei possono diventare hub di pratica artistica collettiva se dotati di personale formato e risorse dedicate. Pre-Texts e protocolli simili non richiedono infrastrutture costose ma competenze specifiche: serve quindi un programma nazionale di formazione per operatori culturali come facilitatori di welfare.

Infine, integrare crediti di welfare culturale nei percorsi scolastici e universitari, non come attività extracurricolari ma come componente essenziale della formazione. L’orientamento al lavoro deve includere competenze relazionali, creative e di regolazione emozionale che le pratiche artistiche collettive sviluppano in modo più efficace dei tradizionali percorsi di soft skills. Le università potrebbero offrire tirocini in progetti di welfare culturale territoriale, creando ponti tra formazione, ricerca applicata e comunità.

La chiave è smettere di pensare alla cultura come “settore” separato e riconoscerla come una vera a propria tecnologia sociale per la produzione di benessere collettivo, con effetti misurabili e costi-benefici documentabili.