L’importanza di una “culture of science” e della formazione
Intervista a Massimiano Bucchi, Professore di Scienza Tecnologia e Società, Direttore del Master SCICOMM, Università di Trento
Charles Percy Snow nel 1959 stigmatizzava la divaricazione tra cultura umanistica e cultura scientifica nel suo libro “Le due culture”. Cos’è cambiato da allora?
Oggi più che di “scientific culture” si parla sempre più di “culture of science”. L’idea è che sia importante, oltre ai contenuti specifici, sviluppare una cultura del ruolo sociale della scienza, di ciò che la scienza può fare e di ciò che non può fare. Pensiamo alla storia recente e al caso dei vaccini. Sono emerse tutte le potenzialità della ricerca, ma anche i nodi critici del suo rapporto con la politica e il mondo dell’impresa, l’importanza di sviluppare una comunicazione più consapevole anche da parte degli esperti e delle istituzioni. La comunicazione della scienza non è un’iniezione a freddo di informazioni, ma la capacità di sviluppare una conversazione sociale che aiuti a valorizzare e comprendere i risultati della scienza all’interno di un più ampio contesto sociale e culturale.
In Italia i rapporti tra i due universi si sono arricchiti di nuovi significati impensabili al tempo di Snow e necessari affinché cultura e scienza camminino insieme. Quanto è importante porre la persona al centro del cambiamento e perché?
Uno dei temi cruciali da questo punto di vista è la formazione. Per questo motivo all’Università di Trento tre anni fa abbiamo lanciato un nuovo Master internazionale “Communication of science and Innovation” SCICOMM. L’idea non è quella di formare, come in passato, giornalisti scientifici ma figure in grado di far dialogare scienza e società e scienza e cultura. Figure che possano lavorare nelle istituzioni di ricerca e nelle aziende hi-tech progettando e valutando con gli strumenti delle scienze sociali strategie di comunicazione e public engagement inclusive ed efficaci. Abbiamo 15 studenti da quattro continenti.