Un Welfare più forte grazie alla impact economy

di Giovanna Melandri e Francesco Spano, Presidente Human Foundation e Segretario Generale Human Foundation

L’emergenza Coronavirus sta inevitabilmente trasformando le nostre vite e la nostra economia. E se c’è una cosa che impariamo dalla tragica esperienza collettiva della crisi pandemica è questa: abbiamo bisogno di rafforzare il nostro Welfare. E di rafforzarlo innovandolo e scommettendo sul coinvolgimento di investitori ad impatto, Terzo Settore e imprese sociali, fondazioni e attori del settore privato. Pensiamoci: senza la tenuta del Welfare, la prima ondata e la seconda ondata di Coronavirus ci avrebbero travolto. E le criticità legate alle diseguaglianze geografiche nell’offerta di servizi sanitari e sociali avanzati tra Nord e Sud del paese sono sotto gli occhi di tutti. I più vulnerabili al virus, dal punto di vista sanitario ed economico, sono i più fragili. Anziani e già malati sono considerati la prima frontiera del rischio sanitario; precari perlopiù giovani e donne la prima linea dell’emergenza economica; bambini e ragazzi le vittime della ferita pedagogica legata alle criticità generali che hanno colpito la didattica. L’aumento delle disuguaglianze legato al Covid 19 è un rischio concreto e solo la tenuta del Welfare può evitare quello che, altrimenti, è un “destino destinato”: servizi sanitari più efficienti, con un ruolo sempre maggiore di quelli territoriali, assistenza agli anziani diffusa, rete attiva di contrasto alle povertà educative e alle nuove povertà educative legate alla diffusione della DAD in assenza di pari opportunità di accesso alla strumentazione digitale, diritto allo smart working e più diritti allo smart working (insieme). La lista potrebbe continuare.
Ma come è possibile assicurare un Welfare sempre più forte a fronte di una domanda sempre crescente e in assenza di risorse adeguate? È qui che si fa cruciale quello che noi chiamiamo “impact-led recovery”: mettere a punto uno schema di risposta basato sulla collaborazione sistematica tra pubblico e privato, con una triangolazione ben disegnata tra investitori ad impatto sociale e ambientale, Terzo Settore e imprenditori sociali e decisori politici, con un ruolo cruciale anche della rete legata alla valutazione d’impatto sociale. La questione dello “schema di risposta pubblico-privato” basato sull’impatto (sociale e ambientale) e sulla possibilità di misurarlo è il tema. Un tema che per Human Foundation, ad esempio, è diventato una vera e propria missione: affermare anche in Italia la centralità del modello PBR, ovvero pay by result nell’elaborazione di politiche sociali avanzate, che possano sancire una modalità collaborativa, con lo scopo di produrre anche in Italia quel “wefare mix” capace di assicurare risposte efficaci a bisogni emergenti urgenti. Gli schemi PBR – come i Social Impact Bonds o quelli che in Francia sono i Contrats à Impact Socialo ancora gli outcome funds – partono da un assunto: l’attore pubblico deve restare titolato a raccogliere i bisogni collettivi e a disegnare le politiche di risposta, però da solo rischia di non farcela. Al tempo stesso, i privati non possono più disinteressarsi dell’impatto sociale e ambientale del loro business. Senza una autoriforma del capitalismo, lato finanza e lato impresa, verso un modello di sviluppo capace di assicurare giustizia ambientale e sociale è impossibile immaginare un futuro davvero umano, prima ancora che “sostenibile”. E dunque anche il mondo della finanza si sta da anni ponendo la questione di sviluppare una nuova tipologia di investimenti basati non solo su rischio e rendimento, ma anche su una terza dimensione: quella dell’impatto, ovvero delle positività sul piano ambientale e sociale generate con quell’investimento. L’impatto deve essere intenzionale, ma non rimanere sul piano delle intenzioni. Pertanto deve essere misurabile, attraverso rigorosi processi di valutazione, che producono dei report che vanno ben oltre il semplice rendiconto. La valutazione dell’impatto, infatti, è uno prezioso strumento di management del progetto di investimento e lo accompagna ex ante, durante ed ex post. Gli investimenti a impatto sociale si stanno moltiplicando in tutto il mondo. Ad oggi, sono quasi 500 i milioni di dollari investiti in Social Impact Bonds e quasi 200 i SIB sviluppati in tutto il mondo, ad esempio. E grazie alla cabina di regia mondiale della finanza impact, il GSG (Global Steering Group for impact investment, in cui Giovanna Melandri ricopre il ruolo di executive board member per il secondo mandato consecutivo, ndr), sono partiti anche su scala internazionale strumenti come gli Outcome Funds, che scommettono energicamente sul rapporto che dicevamo investitore privato-decisore pubblico- Terzo Settore e imprese ad impatto sociale- valutazione dell’impatto. Si tratta di coniugare il diritto alla libera impresa con l’utilità sociale, binomio peraltro sancito dalla nostra Costituzione. E infatti gli investimenti impact sono sicuramente uno spazio di mercato, visto che l’investitore ad impatto di fatto anticipa somme per conto del pubblico al fine di poter realizzare un determinato progetto sociale e, se raggiunge il risultato, riceve indietro da un outcome payer l’investimento e un quantum di ritorno e cioè di rendimento. Ma l’investitore non è l’unico ad assicurarsi un ritorno. Le imprese che implementano il progetto impact ne beneficiano, ovviamente. E questo giro di affari ha delle ricadute positive sul piano sociale e ambientale, dunque ne beneficia la comunità, poiché vengono raggiunti gli obiettivi stabiliti e solo se raggiunti (con tanto di valutazione misurabile dell’impatto) l’investimento ha il suo ritorno. C’è dunque una tensione verso l’efficienza, condivisa tra il pubblico e il privato. E c’è una riduzione degli sprechi, spesso purtroppo generati da uno schema di Welfare esclusivamente statalista e assistenziale, cosiddetto “a pioggia”. Poiché con lo schema Pay by result, se gli obiettivi non sono raggiunti l’outcome payer (che nello schema ottimale è l’attore pubblico a cui l’investitore ha anticipato le risorse) non remunera né il capitale investito né il rendimento. Noi crediamo moltissimo nella costruzione di questo nuovo modello di Welfare avanzato, di cui si prendano anche piena, pienissima responsabilità gli attori privati del mondo della finanza e dell’impresa. Perché senza coinvolgere nella grande sfida della conversione ecologica e della solidarietà diffusa le energie vive del nostro capitalismo ogni ambizione di cambiamento reale e realmente incisivo rischia di restare lettera morta. Ora più che mai, invece, l’occasione di attivare ogni migliore energia in direzione della “resilienza trasformativa” è imperdibile. E richiama tutti noi alla sfidante responsabilità, dopo l’incontro spaventoso eppure decisivo con la pandemia globale, di provare a trascinare il destino collettivo verso un futuro diverso, in cui l’impact economy sia il centro pulsante di una globalizzazione non più infelice e ingiusta.